Alla salute, Beppe!
La Festa di San Giuseppe nella tradizione popolare
di Emilio Ricceri
Quando Rossella mi chiese di preparare un articolo sulla festa di San Giuseppe mi meravigliai molto. Credevo di essere la persona meno adatta dell’Onda per parlare del nostro Santo Patrono. Mi sono quindi documentato partendo da un punto di vista che a me interessa molto: le feste nella tradizione e nella cultura popolare. Successivamente, facendo un’incursione anche nel campo della religiosità popolare, che credevo mi interessasse molto meno, ho fatto una scoperta che mi ha profondamente colpito, facendomi alfine quasi diventare un fan del Nostro. Tutti sappiamo bene come si svolge da noi la festa di San Giuseppe. Può essere anche interessante conoscere se ha diffusione anche in altre zone e se sì, con quale modalità si realizza.
Tra le feste popolari a sfondo religioso, quella di San Giuseppe è tra le più celebrate in ogni parte d’Italia; tra gli altri, da paesi della provincia di Como, di quella di Forlì, La Spezia, Grosseto, Rieti, Campobasso e di quasi tutte le province della Sicilia. Gli elementi comuni alle varie feste sono la presenza di fuochi come falò o torce nella notte della vigilia, e l’offerta di cibo ai poveri del paese o ai forestieri ospiti. Analogamente a tutte le ricorrenze legate alla cultura popolare, ed in particolare a quella contadina, questa festa racchiude alcune significative simbologie di origine pagana: il fuoco che scaccia gli ultimi strascichi dell’inverno e saluta l’arrivo della primavera. Per quanto riguarda l’offerta dei cibi ai poveri, si può pensare quasi a una volontà di esorcizzare, a posteriori, la povertà della Sacra Famiglia, così come tramandata dalla devozione popolare.
Una citazione letteraria della Festa di San Giuseppe la troviamo nel “Viaggio in Italia” di Goethe quando si parla di quella di Napoli nel 1787. La descrizione è molto viva, quasi un bozzetto, ed anche qui si trova l’elemento del fuoco di cui Goethe evidenzia la connotazione simbolica, e di quello della donazione ai poveri. Dice infatti l’autore a proposito dei “frittaioli”, cioè i venditori di frittelle: “Oggi era anche la festa di San Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli, cioè dei venditori di pasta fritta, beninteso della più scadente qualità. E poiché sotto il nero olio bollente arde di continuo una grande fiammata, della loro sfera fa parte anche il tormento del fuoco; perciò iersera avevan fatto, davanti alle loro case, una parata di quadri di anime del purgatorio e di giudizi universali entro un lingueggiare e divampare di fiamme. Sulle soglie delle case grandi padelle erano poste su focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio fumante. Un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo le ciambelle man mano che erano cotte e con un altro spiedo le passava a un quarto che le offriva agli astanti; gli ultimi due garzoni erano ragazzotti con parrucche bionde e ricciute, che qui simboleggiano angeli. Alcuni altri completavano il gruppo mescendo vino ai lavoranti, bevendo essi stessi e gridando le lodi della mercanzia; tutti gridavano, anche gli angeli, anche i cuochi. Il popolo faceva ressa, perché in questa serata tutti i fritti si vendevano a poco prezzo e una parte dei ricavi va persino ai poveri”.
Questa descrizione mi ha fatto venire in mente che vi era esattamente la stessa atmosfera vari anni fa, ancor più di oggi, dai frittellai di Piazza del Campo, particolarmente proprio nel giorno di San Giuseppe, quando mettevano prolunghe esterne alle baracche e vi preparavano le frittelle all’aperto, tra lazzi e “gotti”. Ma la cosa che mi ha colpito di più è la considerazione che ha avuto nella cultura di base, almeno per un certo periodo, la figura di San Giuseppe. Le rappresentazioni sacre, forma quasi di spettacolo teatrale con vasta partecipazione popolare eseguito inizialmente in una Chiesa e successivamente in altri luoghi, hanno avuto una grande importanza nella formazione della religiosità delle masse di tutto l’Occidente essendo, appunto, rappresentazioni drammatiche della vita di Cristo. Sono iniziate con le origini del cristianesimo e si sono protratte, almeno in Francia, anche se con caratteristiche ben diverse da quelle originali, fino al diciannovesimo secolo.
In questa forma di spettacolarizzazione, la figura di San Giuseppe assume addirittura connotazioni totalmente anticonvenzionali. Nella seriosa “Bibliothca Sanctorum”, opera fondamentale per lo studio delle figure dei santi, tra l’altro, a proposito di come viene descritto San Giuseppe nelle scene delle rappresentazioni sacre si dice: “Mentre queste scene conservano altrove una certa seriosità, in Germania assumono un tono umoristico, se non addirittura comico. La figura del santo viene volentieri utilizzata per divertire il pubblico nella parte di un ridicolo vecchio, sempliciotto, piccolo, curvo, che tossisce sempre dopo ogni battuta. E’ semplicemente trattato come il buon servo della Madonna. Nella scena dello sposalizio, egli oppone la difficoltà del voto di castità da lui fatto, ma è disponibile a fare la volontà di Dio. Quando si accorge che Maria è diventata madre, piange. Allorché ricerca in Betlemme un alloggio, viene respinto come falso, perché nessuno vuole credere che la sua sposa sia vergine. Nella scena della natività è impacciato e incapace, pur mostrandosi comicamente premuroso, e deve procurare perciò una balia per la madre e il bambino. Si arriva perfino a un crudo realismo che rasenta l’irriverenza mostrandolo allegro che si dà forza in ogni occasione con il vino. La sua principale attività diventa, allora, quella di fare assaggiare il suo “buon vino” a tutti: pastori, levatrice, Maria e bambino. Nella fuga in Egitto vuole addirittura vendere il velo di Maria e il suo cappello per della birra, invitando ogni tanto gli spettatori a bere. Anche alla servente egli offre da bere come ricompensa per i servizi prestati. Lo vediamo, ancora, dondolare la culla del bambino e dirigere la ninnananna e le danze invitando a parteciparvi i bambini e tutti i presenti”.
Questa umanizzazione della figura del patrono dell’Onda me lo rende laicamente molto simpatico, perché ne evidenzia aspetti affini a quelli di noi contradaioli (parlo almeno per me) e me lo fa considerare come un vicino di tavola a una cena dell’Onda. Alla salute, Beppe!