Dire ancora qualcosa che non si sappia resta certo difficile. Ci è rimasto infatti nel cuore prima che nell’inno, o nella strada, in qualche lapide o nel nome stesso della Società questo figlio illustre della Contrada, “lustro e decoro dell’arte e del Rione”, nato al n. 1O di Via San Salvadore il 1° di marzo 1817. Scultore insigne, pure riuscì benissimo a raccontarsi da sé in quei più volte ristampati Ricordi autobiografici “che formano – come ha scritto qualcuno – un raro modello di amabile semplicità e di felice misura tra gli artefici scrittori. A rileggerli, insieme al fittissimo carteggio di una vita, ne emerge un narratore discreto, personaggio schivo, “modernista saldo come insegnante e maestro”, uomo comune del tempo suo, amico di Rossini, Giusti, Aleardi, Prati, Capponi, Tommaseo, cioè discreta parte della cultura italiana del secolo XIX, ma soprattutto artista scomodo, comunque da discutere, osannato o misconosciuto a seconda delle occasioni o degli schieramenti di parte.
Oggetto frequente di polemiche aspre, artistiche e non, trovò nella Città e nella Contrada abbandonate nell’adolescenza per l’adottiva Firenze riconoscimenti supremi, frutto di una produzione nel bene e nel male al centro dell’attenzione generale e di un affetto mai sopito nel corso degli anni. Dal 1844 almeno, quando già famoso tornò a rivedere con modestia e “con commozione quel popolo affollato, quelle deputazioni di Contrade e di Accademie” incaricate di porgergli saluti ed omaggi, memore di come fossero “quelli i primi fiori che io coglieva e odorava nel giardino della giovinezza, e quel profumo lo sento ancora quasi più grato, perché allietato dalla memoria di un tempo senza rimorsi.” Lontano da un giudizio critico in buona parte ancora sospeso, legato a lungo ai presunti meriti e demeriti dell’Abele (senza dubbio la sua realizzazione più felice insieme al Caino e al gruppo della Pietà), l’affetto di un popolo si riappropriava di questo ondaiolo assurto agli onori della celebrità già nel corso del 1843, quando tributava a questo nativo già inserito nell’elite artistica internazionale onoranze degne del suo valore, e nel settembre di quello stesso anno, quando si impegnava a prendere attivamente parte alla sottoscrizione per la scultura di quella statua di Pio II che sarebbe stata terminata cinque anni più tardi. E ancora nel 1867, quando la Pietà veniva entusiasticamente premiata all’Esposizione Universale di Parigi, con l’apposizione di una lapide commemorativa in una delle stanze attigue alla chiesa di San Giuseppe, “in onore del primo scultore italiano, Protettore e gloria della Contrada nostra in che sortiva i natali”, e nel 1869, nell’entusiasmo generale che condusse la cittadinanza ad intitolargli (gesto quantomeno insolito per i tempi) una nuova locomotiva in servizio sulla Centrale Toscana fra Siena ed Empoli, con la dedicazione solenne della strada che ancora oggi porta il suo nome nel cuore stesso dell’Onda. L’accanirsi dei critici sul presunto “verismo accademico” di Duprè e le accuse ricorrenti di scarsa originalità artistica non riuscivano insomma a lasciare il segno su un affetto e un’ammirazione che non si interruppero nemmeno davanti alla morte dell’artista, seguita nel 1882, quando “operai ed artefici sospesero a migliaia il lavoro per recarsi sulle vie sulle quali passava, e seguire il feretro”, ricordata nelle strade dell’Onda con imponenti onoranze funebri. Nel 1890 infatti, l’atto di nascita della nuova Società di Mutuo Soccorso fra i nativi della Contrada veniva segnato dal nome del Duprè come esplicitazione di un legame indissolubile con la Contrada e la sua storia. Una volontà e un affetto che condussero ancora nel 1928, anno di una memorabile vittoria nel Palio, addirittura ad immortalare il nome dell’artista nell’inno stesso dell’Onda. Sulla stessa linea si trova la costituzione della gipsoteca intitolata all’opera di questo esponente di primo piano della scultura italiana, inaugurata nel 1962 insieme ai nuovi locali della Contrada.
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